La storia – Centrale Nucleare Montalto di Castro ultimata e mai accesa

La centrale Elettronucleare di Montalto di Castro non è mai entrata in funzione.

E’ stata chiusa quando per iniziare la produzione bastava solamente accenderla, ma non è stata mai accesa.

La centrale aveva due reattori nucleari da 982 MW di potenza ciascuno alimentata da uranio leggermente arricchito, moderati ad acqua leggera e raffreddati con l’acqua del mare.

I lavori ebbero inizio il 1° Luglio 1982 con un consorzio tra l’impresa Ansaldo Impianti SPA e la General Electric che lavorava per conto di Enel spa. I lavori iniziarono ma non si conclusero mai e la centrale nucleare di Montato di Castro non fu mai accesa e non entrò in funzione nemmeno per prova.

Dopo gli accadimenti del disastro di Cernobil nel 1986 e il conseguente referendum contro il nucleare del 1987 i lavori per la realizzazione della centrale nucleare di Montalto di Castro furono sospesi nel 1988 da un atto amministrativo del Consiglio del Comune di Montalto di Castro.

Le manifestazioni anti-nucleare di Montalto di Castro
Il no dell’Italia al nucleare

La prima manifestazione anti nucleare in Italia inizia con il popolo montaltese
nel 1977 ed ha segnato la vicenda del nucleare in Italia e il futuro di un’intera nazione.

Uno degli slogan:

“Al contadino non far sapere quanto è buono l’uranio con le pere”

Il 20 marzo 1977 una piccola e fino ad allora sconosciuta cittadina dell’alto Lazio, Montalto di Castro, si popolava di “visi variopinti” arrivati per partecipare alla prima manifestazione antinuclearista d’Italia a dar manforte ai montaltesi, almeno a quella parte contraria al progetto nucleare.

Il luogo del raduno era proporio quello ove era individuata l’ area di costruzione della centrale nucleare conosciuta come Pian dei Gangani, dove avrebbero visto la luce ben due centrali termonucleari delle venti previste dal Piano Energetico Nazionale del 1975 in Italia.

I giornali dell’epoca raccontano di un clima di festa sotto la pioggia battente, con le frange creative del movimento del ’77, gli indiani metropolitani, a sostenere il comitato cittadino organizzatosi contro l’installazione degli impianti. Parliamo di un raduno di circa 20000 persone arrivate a Montalto “per la libertà dalla paura: no alle centrali, sì alla Primavera”, scrivevano su Lotta Continua il 22 marzo 1977.

«La primavera è liberazione dal freddo e dalla paura e se siamo qui a manifestare contro l’industria dell’atomo è perché produce appunto la paura […] vogliamo continuare ad essere padroni della primavera in queste campagne, per tutte le generazioni che ci seguiranno», continuava l’articolo.

Da dove arrivava questa paura? Se allarghiamo il campo al contesto generale, La festa della vita di Montalto di Castro sembra un avvenimento anticipatore.
Quella mobilitazione nelle campagne viterbesi veniva prima dell’incidente di Three Mile Island  avvenuto in Pennsylvania il 28 marzo 1979, passato alla storia come il più grave incidente nucleare statunitense, e veniva ancora prima del fatidico incidente al reattore 4 della centrale di Chernobyl, il 26 aprile 1986.

Ad accendere e alimentare questo sentimento di ansia collettiva doveva aver contribuito quanto accaduto a Seveso, in Brianza, nel luglio dell’anno prima, per via della fuoriuscita di una nube di diossina dalla fabbrica dell’industria chimica ICMESA. L’impatto diretto che questo disastro aveva avuto nella vita quotidiana delle persone coinvolte, il terreno contaminato, l’obbligo di evacuazione, le case circondate dal filo spinato, l’obbligo di lasciare lì ogni cosa, persino gli animali domestici.

Non stupiscono i cani robotici, le piante mutanti e gli strani uccelli dal verso elettronico della vignetta di Lotta continua dedicata alla manifestazione di Montalto, il giorno dopo.
Dà forma all’immaginario distopico che faceva da cornice alle questioni più politiche della protesta antinuclearista: «l’uso antiproletario dell’energia», l’idea che processi tanto sofisticati avrebbero sottratto ancora di più le fasi della produzione al controllo dal basso della popolazione e dei lavoratori – scrivevano – prefigurando un capitalismo sempre più autoritario e centralizzatore.

La storia del nucleare in Italia è costantemente attraversata da riverberi internazionali.
È sull’onda di Chernobyl che nel 1987 la maggioranza dei votanti si espresse a favore del referendum abrogativo che limitava la costruzione di nuove centrali nucleari oltre a quelle già attive sul territorio italiano. E di nuovo più recentemente, nel 2011, è stato il disastro di Fukushima a incentivare un secondo referendum contro il rilancio dell’energia elettronucleare.

Già in quella prima manifestazione di Montalto un aspetto fondamentale della critica politica riguardava il tema della dipendenza economica dalle due superpotenze del periodo: «il vassallaggio politico del Paese» dalle nazioni fornitrici, scrivevano sul Quotidiano dei lavoratori a due giorni dalla manifestazione. L’autonomia energetica sarebbe stato un gigantesco bluff, denunciava anche Lotta Continua: «perché saremmo due volte dipendenti sia per la tecnologia del reattore che le nostre industrie non sono in grado di padroneggiare, per cui saremo completamente legati alle compagnie licenzianti degli USA, che per il combustibile, l’uranio arricchito, attualmente monopolio di USA e URSS». E di nuovo ancora oggi, quando la questione del nucleare torna a far parlare e a palesarsi come una possibile soluzione “alternativa”, è il contesto internazionale che fa da timone. Il fantasma dell’autonomia energetica che si aggira tra le instabilità del conflitto russo-ucraino, le sanzioni, lo stop alle importazioni di gas, la paura di sentire freddo davvero con la stagione invernale alle porte.

Tornare sui primi passi del movimento ecologista italiano a pochi giorni dallo sciopero globale per il clima del 22 settembre, mette in luce le differenze più che le chiare linee di continuità.
Così per il tema legato alla lotta di classe, indubbiamente sgonfiato, che trova forse una nuova espressione nella denuncia dell’alternanza scuola-lavoro e delle morti bianche lavorando gratis “nella scuola dei padroni e di Confindustria”. Il confronto con l’oggi segna la mutazione degli immaginari. Soprattutto se ci soffermiamo su quella visione di lunga durata che portava allora il movimento a intervenire nel presente per difendere e garantire l’integrità dell’ambiente a “tutte le generazioni” che sarebbero venute dopo di loro.
Se anche le strade si colorano ancora di striscioni e delle giovani energie della generazione Z, la contestazione è attraversata da toni catastrofici e all’orizzonte c’è il baratro dell’estinzione. Viene da chiedersi che conseguenze avrà tutto ciò sulle traiettorie di ciascuno, non solo i più giovani.
Sapremo salvaguardare la capacità di pensare e progettare il futuro senza dover tirare il freno a mano?

Il 9 dicembre 1986 una grande manifestazione antinucleare a Montalto di Castro, dove era in costruzione una nuova centrale nonostante le opinioni contrarie dei cittadini, dei movimenti ambientalisti e dello stesso comune. Fu l’ultima manifestazione di una lunga serie: Caorso, Trino Vercellese, il Pec del Brasimone. Il 1986 è stato un anno di campeggi antinucleari e cortei, puntualmente caricati in maniera brutale dalla polizia.

Le richieste del movimento antinucleare sono l’immediata chiusura delle centrali attive in Italia e la riconversione in impianti per l’uso di energia pulita per quelle in via di costruzione.

Il corteo, fortemente sostenuto dai Comitati antinucleari e antimperialisti, prevede il blocco della strada di servizio usata dagli operai per l’intera giornata, in modo da non consentire il cambio dei turni e l’ingresso dei camion con i materiali edili.

Scontri dei manifestanti con le forze dell’ordine

Molti degli autobus provenienti da tutta Italia vengono fermati dai posti di blocco delle forze del’ordine, e sono costretti a rimanere fermi. Il resto dei manifestanti decide di intraprendere un lungo percorso attraverso la statale per aggirare i divieti e raggiungere ugualmente la centrale. Quando i manifestanti si trovano a meno ci cinquecento metri dai cancelli, la notte sparisce bruciata dalle fotoelettriche. I fari illuminano a giorno l’area circostante, e il cantiere appare militarizzato da più di 600 celerini in tenuta antisommossa, che immediatamente chiedono al corteo di liberare la strada. Lo slogan “assemblea, assemblea” è gridato a gran voce dai manifestanti, che richiedono di poter svolgere un incontro con gli operai del cantiere, seriamente minacciati dai licenziamenti che seguiranno la fine della prima parte dei lavori.

All’improvviso parte una sirena, e la celere carica a freddo. Subito comincia la caccia all’uomo nei campi circostanti, mentre un’incessante pioggia di lacrimogeni invade tutta l’area. Ancora una volta, lo Stato è costretto a ricorrere all’uso della forza bruta per reprimere un movimento in costante crescita: decine di persone sono massacrate a colpi di manganelli, candelotti lacrimogeni sparati ad altezza uomo e calci di fucile.

Dopo un’ora di scontri furiosi, il corteo si ricompatta sulla strada principale e ottiene il permesso di rientrare a Montalto. La tregua però, dura troppo poco. Mentre i manifestanti si incamminano verso la tangenziale, parte un’altra carica a freddo che fa disperdere le persone in gruppetti, mentre i celerini le inseguono a manganellate. Qualcuno scappa sui binari della ferrovia, qualcuno corre in mezzo alle auto sulla provinciale, qualcuno cerca di bloccare le corse dei blindati, che piombano in mezzo al corteo con violenza e lacrimogeni, mettendo di traverso sulla strada i sostegni delle recinzioni divelte.

Alla fine della giornata si conteranno una decina di fermati e centinaia di feriti, tra cui un manifestante con un’emorragia ai polmoni causata da un lacrimogeno sparato in pieno petto e un altro colpito da un proiettile ad una gamba.

La giornata si conclude con un grande corteo pacifico e molto partecipato dalla popolazione locale, che sfila per le vie di Montalto in maniera compatta e determinata per ribadire la contrarietà al progetto di morte avviato con l’imposizione del nucleare civile in Italia.

Tra il 1988 e il 1990 il governo Goria fece un tentativo di ripresa dei lavori, poi i governi di De Mita e Andreotti chiusero definitivamente tutte le centrali nucleari del territorio nazionale e la centrale nucleare di Montalto di Castro non fu mai completata.

Visto che erano già state realizzate le prese d’acqua a mare per il raffreddamento del nucleo, al posto della Centrale Nucleare l’Enel, realizzò, nella stessa area, la centrale termoelettrica policombustibile Alessandro Volta.

Un video dei telegiornali dell’epoca sulla manifestazione del 77:

Centrale Termoelettrica Enel Alessandro Volta

Un gigante della produzione elettrica utilizzato pochissimo e in dismissione

La centrale Enel Alessandro Volta è una centrale termoelettrica a ciclo combinato  della potenza elettrica di 3600 MW che funziona a policombustibile.

La sua costruzione iniziò nel 1992 nella stessa area laddove avrebbe dovuto essere ultimata la Centrale Nucleare. Nel 1998 la centrale fu completata.

L’impianto era composto di quattro sezioni a vapore da 660 MW che potevano essere alimentate sia ad olio combustibile denso che a metano e da otto piccoli turbogas da 120–125 MW  abbinate a coppie in ciclo combinato ai gruppi a vapore.

Nelle foto sotto più recenti non sono presenti 2 delle turbogas demolite da poco tempo

La centrale termoelettrica di Montalto di Castro era la più potente in Italia ma è stata poco utilizzata (circa 3.000 ore all’anno su un massimo teorico di 8.760), a causa degli elevati costi del combustibile.

Nel 2009, la centrale ha emesso un milione di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera, interamente compensati con l’acquisto di un milione circa di CER (crediti di emissione del Meccanismo di Sviluppo Pulito).

Oggi la centrale è in dismissione.

Le 4 unità termoelettriche a vapore sono state messe fuori servizio definitivamente e per 2 di queste unità sono già state completate le attività di demolizione.

Restano in esercizio solamente le 8 unità turbogas alimentate esclusivamente a gas naturale.

Dopo la Centrale Enel di Montalto di Castro

Quale futuro per l’area centrale una volta dismessa?

L’Enel ha avviato le procedure per la realizzazione di un impianto fotovoltaico su una superficie di circa 20 ettari, per una potenza di 10 Mw. Il progetto prevede soprattutto la realizzazione di sistemi di accumulo di energia per circa 245 MW, fornendo così un ulteriore contributo all’utilizzo delle energie rinnovabili. In linea con le indicazioni del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) per favorire l’uscita dell’Italia dal carbone.

In tal senso nel 2021 è stato firmato un atto d’intesa tra Regione Lazio ed Enel spa per la modifica della centrale termoelettrica “Alessandro Volta” prevede la realizzazione del progetto di installazione di un sistema di accumulo a batterie, cosiddetto Montalto Bess 1.

L’area di progetto di proprietà di Enel, avrà un’estensione pari a circa 3 ettari ed il progetto sarà sviluppato come “una stand-alone” ossia l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici sarà immagazzinata in batterie di accumulo e ridistribuita direttamente in loco.

Oggi si susseguono altre notizie “fantastiche” circa il futuro dell’area centrale e sua futura utilizzazione:

Museo della Transazione Energetica

Uno dei progetti la “nuova vita” della centrale “Alessandro Volta” della multinazionale, è stata illustrato dal direttore Enel Italia Nicola Lanzetta e dall’architetto Patricia Viel farà nascere nei due “sarcofagi” che dovevano ospitare l’impianto atomico un innovativo centro culturale dedicato alla transizione energetica, che racconterà il passato e guarderà al futuro. Un nuovo Museo della Transizione Energetica che possa essere presto accolto nel nostro Sistema Museale Nazionale”. L’area di 15mila metri quadrati ospiterà quindi un museo, uno spazio espositivo, uno spazio eventi e una terrazza panoramica.

Porto Turistico e Villaggio smart

La parte del canale di presa a mare per il raffreddamento dell’impianto nucleare mai entrato in funzione sarà utilizzato per la  realizzazione di un porto turistico.

Sarà presente anche un cantiere navale finalizzato alla costruzione e riparazione di navi e imbarcazioni. Il sarcofago che doveva ospitare il reattore della centrale nucleare diventerà il centro dell’intrattenimento, con attività ricettive come hotel, Bed & Breakfast e negozi. L’iconica ciminiera a strisce bianche e rosse diverrà spazio per videoproiezioni per funzioni artistiche, informative e commerciali, in cima verrà realizzato un ristorante ruotante tipo Donauturm a Vienna e diverrà il simbolo della rinascita ambientale del luogo nelle vesti di centro turistico e commerciale. Attorno al porto prenderanno vita altre attività come centri wellness, alberghi e centri sportivi con campi da golf, tennis e tanto altro.